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Moratti o Pisapia? Preti ambrosiani richiamano i criteri per il voto

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Il richiamo della Conferenza episcopale italiana è stato chiaro. Ha detto il segretario della Cei monsignor Mariano Crociata: «La scelta del voto deve tener conto del quadro della caratteristiche e delle esigenze che permettono a chi assume responsabilità in ambito politico di rappresentare non gli interessi di una parte, ma la visione dell’uomo che esprime la fede cristiana». A Milano, nella sfida della «“sussidiarietà” di Moratti contro la “centralità” comunale dello sfidante Pisapia», per dirla con un titolo di Avvenire di mercoledì 25 maggio, pezzi di Chiesa cattolica hanno scelto “lo stile Pisapia”, come ha dichiarato don Virginio Colmegna, già capo della Caritas milanese e personalità di spicco della curia ambrosiana. E cos’abbiano in comune la sessantottina fondatrice di “Soggettività lesbica” e dell’Università delle donne, Anita Sonego, che vuole abolire il concetto di “famiglia” troppo legato alla «supremazia maschile e alla subordinazione delle donne e dei figli», con la cattolica Maria Grazia Guida, direttrice della Casa della Carità e presidente dell’associazione Ceas, Centro ambrosiano di solidarietà, è già un elemento acquisito prima del ballottaggio di domenica prossima: entrambe, come altri esponenti cattolici milanesi, risultano già eletti nella Lista Pisapia in compagnia di personalità come il radicale anti “vatican-taliban” Marco Cappato e Basilio Rizzo dell’estrema sinistra. A fronte delle posizioni assunte da don Virginio Colmegna e da altri esponenti del cattolicesimo ambrosiano, Tempi ha chiesto a tredici sacerdoti della diocesi milanese il loro punto di vista sui criteri che dovrebbero essere tenuti presenti dai cattolici milanesi in vista del ballottaggio di domenica prossima.

A don Carlo Casati, parroco di Santa Maria Nascente a Milano, certe scelte risultano poco comprensibili. «La solidarietà è uno dei punti del magistero cattolico, ma non può rimanere isolato dagli altri: c’è anche la sussidiarietà, che lascia spazio all’azione della persona che precede quella dello Stato e la difesa della libertà della Chiesa. Poi c’è la tutela della vita dalla culla alla morte e della famiglia naturale. Bisogna praticare e difendere la totalità del magistero: sussidiarietà, famiglia, difesa della vita e libertà della Chiesa sono princìpi che vanno privilegiati su tutto».

Per don Ottavio Villa, parroco di Merone, «la Chiesa dice semplicemente quello che la politica è: salvaguardia dei valori non negoziabili e servizio del bene comune. Un cittadino deve giudicare questo e vedere chi di fatto li tutela di più. La solidarietà è necessaria ma non può e non deve diventare un’utopia. Il male non sarà mai sradicato dall’uomo, chi lo redime è solo Cristo». Un’altra cosa da cui guardarsi per don Villa è «la legalità quando è sbandierata e usata ideologicamente per ingannare i cittadini e farli votare per chi sembra moralmente perfetto e poi magari porta avanti una politica contraria al bene comune».

Per un prete gli orientamenti da esprimere «sono quelli della dottrina sociale della Chiesa, non quelli delle organizzazioni partitiche». Così parla don Angelo Cairati, parroco della chiesa di San Giuseppe a Sesto San Giovanni. «La Chiesa deve far luce su tutti i fattori necessari a che il fedele si formi un giudizio. Bisogna parlare di quelle esperienze che si incarnano in valori, valori capaci di abbracciare tutta la persona. Al fedele spetta giudicare chi fra gli schieramenti politici rispetta di più la persona». Ma un prete può dire per chi votare? «Mai», conclude Cairati. «Al limite può indicare i temi più utili per la salvaguardia del bene comune, ma non può dal pulpito dire a un fedele chi deve votare».

Don Franco Berti, parroco di San Vincenzo de’ Paoli a Milano, spiega che «la responsabilità fondamentale della Chiesa è educativa e ha i suoi punti nodali nella dottrina sociale. Mi riferisco soprattutto ai valori non negoziabili». Berti ribadisce che il suo compito e quello degli altri preti è «l’educazione a vivere il rapporto con Cristo che poi rende non negoziabili certi valori come la famiglia, la vita e la sussidiarietà». Il compito dei sacerdoti è «educare a vivere la bellezza della fede così che i laici si assumano poi la responsabilità di promuovere e difendere la visione dell’uomo che nasce dalla fede. La solidarietà senza il rispetto della vita, della famiglia naturale e della libera educazione mi sembra “falsata”». Berti sostiene poi che «è gravissimo quando un sacerdote prende le parti di un partito a nome della Chiesa».

Secondo don Luigi Stucchi, parroco di Vimercate: «Siamo al solito enigma: chi votare? Mi chiedo: chi rappresenta davvero la vita cristiana, quindi quella buona per ogni vivente? Tutti chiacchierano, ma la situazione è squallida. Dell’educazione e dei giovani fingono tutti di interessarsi ma poi nessuno fa nulla. Io credo che dobbiamo renderci conto della menzogna di questo secolo: si vuole costruire un mondo senza Dio». Per Stucchi bisogna guardasi soprattutto da chi «si dichiara cristiano, mentre pubblicamente si schiera da tutt’altra parte». Il parroco ribadisce che alla Chiesa «spetta solo di vivere e annunciare il cristianesimo». Ma che dire dei preti che si fanno promotori di certi candidati perché risolvano la questione sociale? «Sono fuori strada, non vivono più la fede come una presenza e si ritrovano poi a fare i politici. È Gesù l’unico che risponde ai bisogni dell’uomo. E un prete o un potere che non tiene conto di questa verità sarà sempre ingiusto. Ai preti l’educazione cristiana, ai laici difenderla in modo più forte, perché sulle questioni non negoziabili il nostro cristianesimo mi pare di gommapiuma».

Don Gerolamo Castiglioni

, parroco di San Nicola, quartiere Dergano, Milano, crede che «la Chiesa debba educare a vivere certi valori che rendono bella l’esistenza, a partire dall’accoglienza dell’altro e della vita, fino alla libertà educativa». Nessuno però pare più parlare di queste cose pubblicamente. «Stranamente – sottolinea Castiglioni – non si parla neanche dell’ultima enciclica del Papa che dice che l’impegno caritativo deve arrivare fino alla politica come servizio». Secondo il parroco inoltre «non è affatto lecito che noi religiosi ci schieriamo pubblicamente. Il nostro compito è promuovere l’esperienza cristiana, per la quale vale anche la pena che un fedele si impegni in politica». Quindi non va mai detto ai fedeli chi votare dal pulpito. «Senza indicare nessun partito dico solo che in discussione oggi non c’è la persona di un candidato, ma una certa concezione della vita. Su questo siamo chiamati a scegliere».

Padre Piero Gheddo, missionario del Pime, spiega che «la Chiesa non si pronuncia mai esplicitamente su nessun partito: non è suo compito. Non capisco perché lo debbano fare i preti». I religiosi quindi devono solo mettere dei punti fermi. «Devono promuovere i princìpi non negoziabili. Un cattolico non può votare per chi è apertamente contrario a questi». E i preti che lo fanno «sbagliano: il prete non divide, deve unire i fedeli nella sequela al Vangelo, ai papi e ai vescovi. Sì, nel 1948 votammo per la prima volta davanti a un’emergenza terribile, perciò la Chiesa prese posizione. Ma allora era una questione di vita o di morte». C’è chi dice che la solidarietà è il primo valore per un credente. «Non si può parlare solo di alcuni valori. Se non si riesce a viverli tutti insieme c’è qualcosa che non va». Molti forse sono stufi e scandalizzati dalla vita privata di Silvio Berlusconi. «La cosa più grave, cattolicamente parlando, non è il peccato personale, ma un’antropologia pagana: abbiamo partiti che sostengono leggi antiumane come Zapatero in Spagna: matrimoni gay, eutanasia, aborto. È questa concezione dell’uomo, non i peccati personali, che conduce ai disastri economici: chi ha una visione distorta dell’uomo non governerà mai bene, neanche dal punto di vista amministrativo ed economico». Per Gheddo i religiosi devono tener conto di una società in cui «l’uomo non conosce più Dio, e quindi non sa più discernere quale sia il bene e quale il male. Perciò, ora più che mai, abbiamo il dovere di indicare quale sia il bene». Sul peccato personale invece «la Chiesa non giudica mai pubblicamente. Il mondo vorrebbe che lo facesse: che condannasse il peccatore per poi appoggiare chi il male lo sostiene programmaticamente. Accade perché il potere vuole ridurci a sue pedine. Purtroppo qualcuno ci casca».

Don Giorgio Lavezzari, residente con incarichi pastorali a Gerno, spiega che «il prete deve solo richiamare i fedeli alle posizioni del magistero che il Papa continuamente esprime». Perciò, prosegue don Giorgio, «non trovo assolutamente giusto che un prete prenda posizioni pubbliche, soprattutto quando sono favorevoli a schieramenti le cui idee contraddicono la vita cristiana».

Anche don Dario Garegnani, parroco della chiesa di San Gottardo a Milano, si appella «al magistero che sottolinea i valori non negoziabili indicati da Benedetto XVI come criterio di scelta. Occorre quindi stare con chi è disposto a dialogare su questi». Ma perché tanta confusione tra i cattolici? «La confusione richiama noi sacerdoti a vivere il rapporto personale con Cristo. Solo così i fedeli riscopriranno la bellezza del cristianesimo. E solo allora i laici potranno portare avanti davvero una politica a favore della vita buona». I preti che fanno politica? «Si sostituiscono ai fedeli laici».

Don Giorgio Longo, coadiutore nelle parrocchie di Santa Maria delle Grazie e Santa Maria di Caravaggio, sostiene che «i princìpi che noi dovremmo promuovere sono quelli indicati dall’allora cardinal Ratzinger ai cattolici impegnati in politica. Vita, famiglia, libertà di educazione, sussidiarietà e solidarietà». Ma perché i fedeli li sentono lontani? «È per il rischio del dualismo di cui parla il Papa: la vita è una cosa e la fede un’altra. Questo accade perché si parla troppo di Cristo come di un’idea, mentre è una persona viva. Per questo io credo che dobbiamo testimoniare alla gente la bellezza di una fede viva e quindi vissuta in ogni ambito dell’esistenza, come ci chiede il Pontefice».

Monsignor Ennio Apeciti, responsabile diocesano dell’ufficio per le Cause dei santi e professore di Storia della Chiesa presso il Seminario diocesano, chiarisce: «La Chiesa legge la situazione a partire da Cristo. Questo è il compito del prete, poi sta al fedele scegliere. Abbiamo compiti profetici, tra cui l’aiuto nel vivere la fede perché sia promossa nel mondo. Potrà mai la Chiesa educare un giovane a vivere un amore che dura per sempre? Se lo si aiuta a conoscere il Dio fedele per sempre sarà possibile. Potrà mai un uomo tollerare l’aborto? Se vive il rapporto con Cristo che lo genera, no, mai». Ma può un prete difendere pubblicamente uno schieramento piuttosto che un altro? «È successo che la Chiesa si esprimesse, ma solo in momenti di crisi mondiale, come nel 1948. Ora è diverso: guai se la Chiesa desse indicazioni partitiche». Significa non prendere in considerazione la politica? «Significa promuovere i princìpi evangelici: il rispetto della vita, che è un dono di Dio, la difesa della famiglia e l’accoglienza, che non vuol dire tolleranza finta e scriteriata o abolizione di ogni limite». Apeciti chiede ai cattolici milanesi di non “disertare” e di andare alle urne il 29 e il 30 maggio: «I cattolici che si disinteressano dell’amministrazione della loro città o che non votano per cinismo sbagliano. È nostro dovere votare e chiedere che i politici difendano l’uomo». Cosa direbbe un monsignore a un fedele per aiutarlo a discernere in una campagna elettorale infiammata com’è quella di Milano? «Lo inviterei a non stare all’apparenza, ai giornali e alla pubblicità. Lo spronerei a esaminare e ad andare a fondo di tutto ciò che è stato fatto e che viene proposto, in modo che il voto non sia indotto da un vento di conformismo, ma sia davvero libero».

Monsignor Ferdinando Citterio, docente di Etica sociale presso l’Università Cattolica di Milano, spiega che «i valori più importanti sono la difesa della vita, della famiglia naturale, della libertà di educazione e della sussidiarietà». Difficile, però, che oggi uno schieramento politico li rispetti tutti. «Infatti. È per questo – continua Citterio – che bisogna esaminare i programmi e scegliere il male minore: ossia scegliere il programma che garantisce meglio che quei valori siano realizzati e vissuti nella società». Perciò, scandisce don Citterio, il cattolico sceglie «non tanto il politico che personalmente già vive secondo quei valori, che sarebbe tanto meglio, ma chi soprattutto li sostiene pubblicamente e ne fa programma politico e sociale».

Don Maurizio Ormas, residente presso la parrocchia di San Silvestro a Milano, aggiunge che «molti cattolici faticano a capire che è la presenza di questi valori non negoziabili o la loro mancanza a modellare la società. Non hanno una visione di lungo periodo, pensano che a contare davvero siano solo l’economia, l’approvvigionamento energetico, i trasporti… Ma dimenticano che proprio sulla questione antropologica si giocherà il nostro benessere». Lo dimostra il fallimento politico, economico e sociale della via scelta da Zapatero di ribaltare la morale naturale: «Vediamo bene i disastri che si possono provocare quando la morale naturale è tradita. Il caso Zapatero ci dimostra che chi promuove l’individualismo e l’autodeterminazione in senso contrario alla natura, stenterà anche a promuovere una giusta economia che rispetti davvero la persona. Zapatero non ha favorito la coesione ma la divisione sociale. Il collasso economico, la disoccupazione, il malcontento? Sono i risultati di questa frammentazione antropologica». Si obietta che sui princìpi non negoziabili le amministrazioni locali non hanno potere, ma per don Ormas «è un falso evidente: i Comuni possono decidere se sovvenzionare l’aiuto alla vita o meno». Tant’è che c’è chi vuole promuovere il cosiddetto “diritto all’aborto” e si disinteressa dei Centri di aiuto alla vita. «Tanti Comuni – aggiunge don Ormas – già si arrogano il diritto di registrare i cosiddetti testamenti biologici e le cosiddette “coppie di fatto”».

di Benedetta Frigerio, tratto da [Tempi.it] 25 maggio 2011

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